I PERSONAGGI ILLUSTRI

 

•  GIURISTA PASQUALE STANISLAO MANCINI Castel Baronia 1817 – Roma 1888

•  SCULTORE PADRE ANDREA MARTINI Castel Baronia 1917 – Roma 1996

•  POETA CARMELO ERRICO Castel Baronia 1848 – Roma 1892

•  DIGNITARO ECCLESIATICO GIAN G. GIORDANO Castel Baronia 1590 – … 1630

•  DIGNITARO ECCLESIATICO AMATO MASTRULLO Castel Baronia 1612 –Penta di Fisciano (SA) 1676

•  D'ERRICO FRANCESCO ANTONIO VESCOVO DI ALGHERO Castel Baronia…- 1954

•  POETA ANTONIO MAZZEO Castel Baronia 1923

 

 

P.S. Mancini ( Castel Baronia 1817 – Roma 1888)

P.S. Mancini nacque a Castel Baronia in provincia di Avellino il 17 marzo 1817, dai nobili Saverio Mancini e Maria Grazia Riola.Compì i suoi primi studi nel seminario di Ariano Irpino ,dimostrando doti intellettuali prodigiose,che già,in quella tenera età,facevano presagire la sua grandezza e genialità.A diciotto anni iscrisse il suo nome tra i più insigni del foro napoletano per la sua mirabile eloquenza sostenuto sempre dallo zio materno Giambattista Riola, al quale lo aveva affidato la mamma,donna molto severa.
A Napoli collaborò a diverse riviste e giornali e pubblicò presto un suo giornale,” Ore solitarie “,fondato da Andrea Izzo, sul quale i suoi articoli avevano come soggetto sempre il miglioramento e l’approfondimento della cultura del diritto.La sua sete inestinguibile di sapere lo portò a spaziare nel campo letterario,scientifico,musicale,nel pensiero filosofico e in tutte quelle discipline dirette all’attività umana. Eccezionale poliedricità che non gli fece mai trascurare una sua particolare attenzione alla parola che divenne vivace,fluida ,vigorosa,nobile,pura,fortemente dialettica,atta,quindi,ad esprimere con chiarezza ed immediatezza le sue idee.
A ventitre anni iniziò lo studio della filosofia del diritto,con numerose pubblicazioni,dissertando sui fondamenti giuridici della pena ,gettando le basi di un sistema scientifico del diritto penale,in cui sosteneva ,filtrandolo attraverso il diritto civile e pubblico,il concetto della necessità di riformare la pena ,da intendere non come supplizio,bensì come rigenerazione del colpevole .Molto si preoccupò, nel contempo, di diffondere nelle nuove generazioni, il culto per la libertà della patria e per la giustizia sociale.Ma ormai erano maturi i tempi per una più salda e concreta professione di libertà costituzionale e di spirito patriottico.Siamo all’epoca della rivoluzione siciliana al 12 gennaio 1848.Nel 1845 partecipò attivamente al congresso degli scienziati a Napoli e l’anno successivo a quello di Genova:
All’inizio del 1848 pubblicò il giornale politico “ Il Riscatto “ e tentò di spingere il re Ferdinando II° sulla via del liberalismo.Eletto nel Parlamento napoletano,gli fu affidato l’incarico di stendere una protesta contro un manipolo di soldati che ,durante le barricate del 15 maggio,avevano invaso l’aula parlamentare.Conseguentemente sciolta la camera,alle nuove elezioni,il Mancini venne rieletto e si segnalò per varie proposte di legge non tutte gradite al re che sciolse per sempre il parlamento.Iniziò l’era delle persecuzioni e Mancini si impegnò a difendere i rivoltosi tratti in giudizio.

Ma fu implicato in un processo politico per i fatti del 15 maggio e condannato in contumacia a 25 anni di carcere.Mancini con l’aiuto dell’ambasciatore di Francia riparò in Piemonte,accolto con tutti gli onori dai più illustri uomini di stato per l’altezza del suo impegno,per il suo coraggio civile e per la sua costante difesa della libertà e della giustizia.Il 14 novembre 1850 un decreto del governo sardo istituì per lui la cattedra di diritto internazionale nell’ateneo di Torino e presto il neo professore,nelle sue dotte lezioni,propugnò un nuovo diritto delle genti Europee,fondato sull’autonomia delle Nazioni ( 1851 ),sostendo esservi nel mondo due specie di stati : uno costituito da un aggregato di provincie appartenenti a nazionalità diverse e soggetto,proprio per la sua eterogeneità,ad alterarsi e a perire,un altro costituito da stati creati dalla natura,sono gli stati nazionali – immutabili e quasi eterni,fuori comunque dalla accidentale e contingente azione dei trattati,ma sostenuto da una giustizia internazionale,capace di svolgere azioni di arbitrato e di proporre rimedi contro qualsiasi forma di arbitrarietà.Nel 1855 Mancini,in concorrenza con Cassinis,altro illustre avvocato del foro Torinese fu eletto deputato nel collegio di Dogliani,ma rinunciò a favore del concorrente.Nel 1859,ripresentatosi ancora candidato al parlamento Sardo,risultò eletto contemporaneamente nei collegi di Vigevano e Sassari ed optò per questo.In questa nuova funzione votò contro l’annessione di Nizza alla Francia,tentò una autorevole conciliazione tra Cavour e Garibaldi non del tutto discordi nella situazione politica di appartenenza. Quando la Toscana e l’Emilia,insorte durante la guerra d’indipendenza, proclamarono la loro plebiscitaria annessione al Regno dell’Alta Italia,creando problemi di diritto,Cavour affidò a Mancini la soluzione legale della questione ed gli indirizzò al Ministero centrale di Torino ben quattro dotte relazioni,Dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala e la sua entrata a Napoli il 7 settembre 1860,fu affidato al Mancini il dicastero di Grazia e Giustizia e degli Affari Ecclesiastici.Il Ministro in data 17 febbraio 1861 decretò la repentina soppressione dei monasteri e delle pie fondazioni,suscitando forti reazioni del clero.Come Ministro Guarda Sigilli del Governo della sinistra al potere preparò la riforma della legislazione penale,propose la legge sulla cattura degli imputati e sulla privazione della libertà provvisionale,difese la laicità dello Stato nel 1862 , resse per due soli mesi il portafoglio della Pubblica Istruzione.Dal maggio 1881 al luglio 1885,sempre con lo stesso governo di sinistra fu a capo del Ministero degli Affari Esteri. Si adoperò allora per più vasti e pratici progressi del diritto Internazionale. Visitò le diverse corti dell’Europa allo scopo di dimostrare che non sempre sono utili e sufficienti i trattati fra stati,per impegnarli di più a far ricorso alle convenzioni.Nel 1877 si vide approvato alla Camera il primo libro del Codice Penale e partecipò attivamente al progetto definitivo del Codice di Commercio.Per tutto questo gigantesco impegno,assolto con genialità e lungimiranza,Pasquale Stanislao Mancini fu veramente l’astro più fulgido della scienza giuridica dell’800,e si dimostrò anche un fine politico partecipando con efficacia all’epoca del Risorgimento Nazionale,proponendosi anche come luminoso esempio di moralità,di cultura e di amor patrio alle generazioni di ieri,di oggi e di domani.

Padre Andrea Martini ( Castel Baronia 1917 – Roma 1996 )

Padre Andrea Martini nacque a Castel Baronia, in provincia di Avellino il 05.03.1917.Fu iscritto all’anagrafe comunale e nei registri parrocchiali col nome di Giuseppe; si chiamò “ Padre Andrea “ nel 1940, quando venne ordinato sacerdote.La sua fu una famiglia numerosa composta dai genitori e da ben 9 figli.Sin dalla tenera età dimostrò vocazione sia religiosa che artistica; infatti già da piccolo con la creta fabbricava altarini ed arredi sacri.Presto entrò nel seminario serafico di Orte in provincia di Viterbo e nel 1940 fu ordinato sacerdote dopo aver concluso con pieno merito gli studi classici e teologici.Successivamente completò anche quelli artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, che frequentò non senza problemi di carattere moralistico, essendo, lui frate francescano, costretto, con scandalo per tutti ed anche per i sui stessi superiori a, rispettare le regole generali della scuola, quale, ad esempio, quella di disegnare modelle senza veli.Lo scandalo rientrò quando potè tornare all’Accademia in “ Borghese “.Gli ultimi due anni di corso furono dedicati alla scultura ed ebbe come maestri Giuseppe Romagnoli, che teneva in Accademia un corso sulla medaglia e Giampaoli, incisore della Zecca.Per arricchire ed approfondire la sua preparazione artistica e le sue già vaste conoscenze di pittura, scultura ed architettura Padre Andrea visitò assiduamente musei, gallerie e mostre e molto viaggiò, allo stesso fine in Europa, Africa e nelle Americhe.Dal 1959 trovò fissa dimora nella pace del Convento di San Bartolomeo a Roma , all’isola Tiberina.Per sé restaurò alcuni locali attigui alla Chiesa di San Bartolomeo, ricavandone una splendida galleria, dove lavorò sino agli ultimi dei suoi giorni.Padre Andrea Martini è considerato l’artista di arte sacra più completo che abbia avuto la Chiesa cattolica. Come disegnatore e pittore amava dichiararsi legato alla “ scuola romana “. Prediligeva la pittura di paesaggi, mettendosi di fronte alla natura, quasi in una posizione contemplativa, per scrutare dall’alto i segreti e gli aspetti più duraturi e ritrovarli con tratti robusti e sicuri.Nella sua galleria personale si possono ammirare quadri:di un paesaggio romano, di un paesaggio irpino e avellinese, di un paesaggio tarquiense, di un castagnone, di Castel Baronia, quasi tutto in olio su materiale vario.Ma non mancano figure di persone come quella del quadro intitolato “Checco “, in olio su faesite.Restaurò anche grossi complessi architettonici, quale il portale e l’abside della chiesa della S.S. Annunziata in Tarquinia, bellissima opera del secolo XI, arricchita dall’artista con una statua dell’Annunziata in bronzo. Importante fu anche il restauro della chiesa di San Barolomeo e quello portato a termine, dopo sei anni di lavoro, nel convento francescano della Valle Vitulanese XV secolo ) in provincia di Benevento.Nel santuario di Maria S.S. delle Fratte di Castel Baronia si può ammirare un affresco relativo al ritrovamento della Sacra Icona della Madonna avvenuto il 2 febbraio 1137.Prevalente fu in padre Martini la sua dedizione alla scultura per il rinnovamento dell’arte sacra perché a lui fu congeniale, portando a termine centinaia di statue commissionate dall’Italia e dall’estero, per musei, importanti gallerie, edifici sacri o civili e da collezionisti privati.

Delle molte opere rifinite in bozzetti o modelli vari, gran parte è sistemata nella splendida galleria attigua alla chiesa di S. Bartolomeo; una piccola parte – si tratta di bronzi di modeste dimensioni – è nella casa natale dell’artista o sistemata lungo le sue mura perimetrali e costituiscono una galleria personale insieme a quadri, a statue sacre di santi e a busti di note personalità esistenti nella galleria di Roma.Il Martini trasse pure ispirazione dalla danza classica e dallo sport, un mondo per lui affascinante, a cui dedicò la sua attenzione ed attività con bronzi divenuti di proprietà di privati italiani ed esteri e riferiti al tennis, al ciclismo, alla boxe, al salto con l’asta, alla corsa, alla lotta libera, al lancio del martello, perché offrivano la possibilità di mettere in evidenza movenze armoniche, eleganza di gesti e perfette fattezze fisiche degli atleti.In occasione delle Olimpiadi di Montreal l’artista volle essere presente con una trentina di bozzetti che ritraggono atleti lanciati verso il successo.Pregevoli sono, per la grande emotività che risvegliano a prima vista e per l’alto senso religioso che li permea, alcuni particolari della “ Via Crucis “, che rappresentano tutta la tragicità della dolorosissima passione di Cristo; vanno ricordati: il tradimento di Giuda, Gesù che cade sotto la Croce per la seconda volta, Gesù inchiodato in croce, Gesù che muore sulla croce, la deposizione, Gesù deposto nel sepolcro e la resurrezione. In questi Particolari l’artista ama soffermarsi sul volto di Cristo sul quale sono stampati severità, dolore, rimprovero all’uomo eppure tanta dolcezza.L’artista Martini volle far dono di due preziose sculture al suo paesello, al quale si dimostrò sempre legato al punto che amava, durante le vacanze, fare lunghe passeggiate ristoratrici, in una quasi estatica contemplazione della natura. Volle solo che fossero sistemate nei pressi della casa paterna in piazza Vittorio Veneto.Una scultura è intitolata “ La elevazione a Dio “ e il suo originale è nella città del Vaticano, mentre una copia è presso la “ Compagnia di S: Teresa di Gesù “, Tarragona, Spagna; l’altra è “ Slancio del cavallo “ del 1973 lunghezza cm. 410. Questo bronzo era destinato al re di Persia, che l’aveva commissionato, ma per i noti avvenimenti politico – religiosi, che costrinsero lo Scià e la sua famiglia a riparare in esilio, non fu più possibile spedirlo a Teheran.Qualunque sia il giudizio dei critici, è certo che il Martini traeva spunti di ispirazione da una solida cultura teologica, mai disgiunta da talento artistico, maturato in anni di studio e d’intensa operosità, senza tentazioni di cedimenti a tendenze di moda. Preferì poi esprimersi con un linguaggio personale improntato ad estrema semplicità, nel più schietto spirito francescano, mirando a cogliere l’essenziale in tutte le sue opere pittoriche, architettoniche e soprattutto scultoree.Il suo impegno forte e costante lo portò a migliorarsi continuamente, per il rinnovamento dell’Arte Sacra, ottenendo risultati difficili da conseguire, in un’epoca di forte compiacenza del convenzionale e dell’ortodosso, mai dimostrando momenti di arrendevolezza.L’artista Martini mostrò a livello nazionale ed internazionale una personalità ed una maturità artistica certamente inconfondibili e forse, per altri aspetti ,irripetibili.

Carmelo Errico(Castel Baronia 1848 - Roma 1892 )

Carmelo Errico nacque a Castel Baronia (in Provincia di Avellino)il 19 febbraio 1848 da Carmine e da Geremia Gervasio,qualche mese dopo la morte prematura del padre.Fu registrato all’Ufficio di Anagrafe locale e della Parrocchia col nome di Carmine,ma sin dalla nascita amici di famiglia,parenti e familiari lo chiamarono Carmelo.Nel piccolo comune irpino trascorse gran parte della sua fanciullezza e compì i suoi primi studi nel liceo di Benevento ; frequentò poi i corsi della Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli,conseguendo il diploma di laurea appena ventenne.A Roma,dove ebbe una prima residenza anagrafica e professionale, poté vantare l’amicizia dell’illustre e già assai noto concittadino Pasquale Stanislao Mancini,grande giurista ,docente di Diritto Romano presso l’ateneo romano e successivamente professore emerito di Diritto Internazionale e Diritto Privato e Pubblico presso l’Università di Torino,quindi ministro degli Esteri del Governo di Sinistra (1881 - 1885) e più volte titolare di altri dicasteri.L’amicizia di Mancini gli fu molto utile,perché servì ad introdurlo nell’ambiente colto e borghese della capitale,dove conobbe Gabriele D’Annunzio,Francesco Paolo Michetti e Matilde Serao,scrittrice e giornalista,moglie di Scarfoglio,fondatore del giornale napoletano “ Mattino”.Presto si affermò come valente avvocato,pur curando con grandissima passione e profondo interesse la poesia e la musica.L’attività forense lo portò a soggiornare nella città di Napoli,Firenze,Forlì e soprattutto a Roma.Sin dalla tenera età fu affidato alle cure affettuose dello zio Nicolantonio Errico,provveditore agli studi di Forlì,presso il quale ebbe sempre amorevole ospitalità.Tale rapporto divenne più frequente e si consolidò quando nel 1875 rimase orfano anche della madre.Nei suoi frequenti spostamenti,dovuti ad impegni professionali,ebbe modo di allargare la cerchia degli amici frequentando oltre quelli già acquisiti a Roma,Costantino Barella,Francesco Paolo Testi,Guido Boggiano,Aristide Sartorio e molti altri.Tutti ebbero in alta stima la sua arte poetica,tanto che Gabriele D’Annunzio giudicò le poesie “liriche d’amore caste ed armoniose” e F.P.Tosti ritenne che il pregio principale di tutte le liriche dell’Errico fosse la musicalità,per essere state “… cantate sulle note di una melodia malinconica …”.Grazia Mancini Pierantone, moglie del giurista P.S.Mancini,paragonò la poesia dell’Errico a quella del grande poeta e musicista irlandese Thomas Smoor .Ciò non vuol dire che Carmelo Errico godesse di ampi apprezzamenti dalla critica contemporanea,che lo tenne al margine,insieme ad altri artisti irpini,ma vuol significare soltanto che la sua fu quasi una scelta a prendere parte attiva a quella vita culturale,che animava gli ambienti frequentati a Roma e più tardi a Francavilla al Mare,per nulla preoccupandosi di altri riconoscimenti A Francavilla al Mare,luogo dei suoi soggiorni estivi,frequentò il “ Cenacolo “ famoso circolo culturale,aperto da Francesco Paolo Michetti,pittore verista,influenzato dal Decadentismo e lì , presso il convento si davano appuntamento frequente Matilde Serao,Eduardo Scarfoglio,Carmelo Errico,De Nino, Barbella,De Cecco e non poche volte Sartorio e D’Annunzio.Feliciano Campitelli,a cura di Grazia Pierantoni Mancini.Una quarta ristampa del settembre 2000 è stata curata dagli “Amici del libro Abruzzese”-Montesilvano-.Questa raccolta è divisa in tre sezioni;”Vecchia Storia”(32 liriche),”Sognonovo” (30 liriche) e “Poesie nuove” (32 liriche) ed è la breve storia di un’anima sensibile.In essa rimbalzano più forti ed appassionati tutti i motivi delle precedenti poesie, ispirate al più elevato idealismo; di questi i più profondi e peculiari sono: l’amore, il sentimento religioso, la malinconia, il ricordo accorato del paese natio e la ricerca di musicalità del verso.Il motivo conduttore delle composizioni liriche delle varie raccolte di poesie di Errico è sempre una diffusa malinconia, che non cade mai nel pessimismo o nello scetticismo di stampo leopardiano, perché la poesia è vivificata ed attraversata da un senso religioso della vita, da ricordi di un mondo semplice, popolato di persone e cose presenti nell’animo del poeta in una funzione serenatriceDomina poi nel verso un bisogno di sonorità verbali e musicali, ma soprattutto di luce, di semplicità espressiva lontana da ogni forma di artificiosa costruzione in linea con il decadentismo di fine secolo 800 che non significò crollo o decadenza di valori, ma solo un nuovo modo di intendere la poesia, una poesia cioè fatta in genere di piccole cose, di trepide sensazioni, della ricerca di espressioni nuove, che rendessero l’esigenza di una estrinsecazione dell’Io più intimo, del gusto della parola vaporosa e della poesia - musica.Perciò resta difficile accettare il giudizio del Croce, secondo cui le poesie di Carmelo Errico sono “… Scialbe composizioncelle, tutte frasi e immagini logore e generiche …” Ciò non è vero perché le tematiche trattate dall’Errico sono quelle stesse poste a base del tardo romanticismo, confluito nel Decadentismo e che il poeta francese Bosseville ritenne essere “ … le sorgente di emozioni le più potenti del cuore umano: la religione, la patria, l’amore, la malinconia …”Per questo Carmelo Errico certamente non rappresenta una voce solitaria di poeta nella seconda metà dell’800 italiano, ma un autentico figlio del tempo, della levatura dei più autorevoli poeti di quel periodo.

Gian Giacomo Giordano( Castel Baronia 1590 - … 1630 )

Gian Giacomo Giordano nacque a Castel Baronia verso il 1590 e fu battezzato col nome di Girolamo. Approssimativa è la sua data di nascita, non si conosce quella della morte.Fu avviato alla vita monastica a Montevergine, dove cominciò il noviziato e nel 1612 fece la professione religiosa.Studiò filosofia e teologia nei monasteri di Casamarciano e di Napoli e qui fu ordinato sacerdote nel 1617.Presto si acquistò fama di grande ingegno, tanto che nel 1620 fu nominato segretario del Capitolo Generale di Montevergine e nel 1621 abate della Congregazione Verginiani.In forza di una norma della Congregazione un abate rimaneva tale a vita e si spostava di monastero in monastero ogni tre anni. Giordano cominciò il governo di vari monasteri dal 1621 – 1622, sino ad essere nominato procuratore Generale di Roma ( 1629 – 1630 ) acquistando così una vasta esperienza.Quando nel 1630 morì l’abate generale della Congregazione Pietro Danuscio, si riunì il capitolo generale, che, sotto la presidenza del cardinale Boncompagni, arcivescovo di Napoli, al terzo scrutinio, elesse Giordano nell’ ufficio ricoperto dall’abate Danuscio. Dal cardinale Boncompagni ricevette nella cattedrale di Napoli la solenne rituale benedizione d’investitura.Nei quattro trienni ( 1630 – 33 / 1642 – 45 ) di governo, come abate generale, dimostrò forte impegno e capacità non comuni nel far eseguire opere grandiose.Il Giordano, sia pure tra polemiche e numerosi invidie, tentò di fare una storia ampia di Montevergine intitolata “ Croniche “, ma l’opera, nonostante l’abbondanza di materiale raccolto, non andò oltre la vita di San Guglielmo, fondatore dei monte Vergine. Si rifece tuttavia pubblicando nel 1643 la “ Vita di S. Guglielmo “.Si può ritenere quella dell’abate Giordano una figura di religioso amante delle regole monastiche;nel periodo in cui fu vescovo di Lacedonia, fu pastore severo e illuminato, e spese la vita nella creazione di opere, soprattutto chiese e monasteri, costruiti o ristrutturati quando era abate. E’ evidente però che, dopo oltre tre secoli, molte di queste opere sono andate distrutte o se n’è persa la memoria.Come abate generale dedicò tutte le sue energie, avendo come tecnico attivo collaboratore l’architetto Gian Giacomo Conforti, professionista di grandi capacità e di gusto raffinato, alla ripresa dei lavori della Chiesa – Santuario di Montevergine, iniziati da anni.La costruzione fu curata nei minimi particolari nelle navate, nelle cappelle, nell’altare maggiore, nel presbiterio, nelle statue, nel coro. Ancora oggi si può ammirare la ricchezza della decorazione, i marmi policromi ed in modo particolare la bellezza dell’altare maggiore e gli stucchi abbondanti e saggiamente dosati, che rendono particolarmente piacevole il santuario.Radicali restauri l’abate fece eseguire anche nel refettorio monastico. Importante fu pure la creazione di una libreria, trasformata in sala lettura.Su tutti i lavori il Giordano ebbe cura di lasciare quasi una sua firma, i suoi stemmi diffusi ovunque.

 Amato Mastrullo( Castel Baronia 1612 – Penta di Fisciano ( SA ) 1676 )

  Amato Mastrullo nacque a Castel baronia verso il 1612.Fu studente nei monasteri di Montevergine, Casamarciano, Marigliano e Napoli, dove fu ordinato sacerdote e nel primo anno fu nominato cappellano.Iniziò la sua ascesa nella Congregazione come cellerario a Roma, vicario a Napoli e poi segretario generale a Montevergine. Nel 1644, a soli 32 anni, fu nominato abate dell’ importante monastero di Tocco Claudio a Roma. Negli anni successivi resse i monasteri importanti di Capua, Aversa, Napoli e Roma. Morì nel 1676 come abate di Penta di Fisciano ( SA ).L’abate Mastrullo fu uno storico esperto e teologo del cardinale arcivescovo di Napoli Girolamo Colonna, che lo nominò all’alto incarico, per le sue specchiate virtù, con una lettera data a Roma il 20 marzo 1652.Come storico pose mano alle stesure dei “ Sermoni predicabili “, in due volumi, scritti senza compiacenza per artefici di parole e ritrovati retorici. Si rivelano utili per la predicazione dei tempi di Avvento e di Quaresima. Furono dedicati al cardinale Colonna.Nel volume manoscritto “ Cronologia “ del 1656 il Mastrullo prese parte alla disputa sull’autore del quadro della madonna di Montevergine, che non giunse mai a conclusione. Il grosso volume, dedicato pure al cardinale Colonna “ Monte Vergine Sagro “ del 1663 è l’opera maggiore di Mastrullo, nella quale è trattata ampiamente la storia di Montevergine.Si può concludere ritenendo il Mastrullo un attento ricercatore e storico di Montevergine, un abate buono ed obbediente a tutte le norme della Congregazione Virginiana , sia pure in autorevole posizione di preminenza, che mai lo condizionò nel comportamento e nelle scelte.

Antonio Mazzeo ( nato a Castel Baronia 9.2.1923 )

Personalità del passato hanno movimentato la storia di Castel Baronia, rendendo famoso il piccolo centro irpino in Italia e all'estero per decenni.
Si farebbe torto a tale storia, nella sua continuità, se non ponessimo attenzione su un altro suo figlio,altrettanto famoso per cultura e genialità artistica.
Si tratta del poeta Antonio Mazzeo, che a Castel Baronia è nato il 9.2.1923 trascorrendovi lunghi periodi della sua vita, salvo tratti vissuti fuori per motivi professionali o familiari.
Mazzeo, va subito detto, ha dato lustro al paese natio in vari campi: nella politica, nell'insegnamento e soprattutto nella poesia.
Fu eletto sindaco tra i più giovani d'Italia, aveva soltanto ventitré anni e resse tale carica per più consiliature, dando prova di capacità, di dinamismo e di spirito di servizio, sempre teso al bene di tutti i suoi amministrati. Ed in questa ottica prestò la sua attenzione alla cultura in un ambiente non ancora del tutto libero da sacche di analfabetismo, adoperandosi con ostinatezza per l'istituzione, nel 1959, di una scuola media tradizionale, che per molti anni vide convergere a Castel Baronia studenti da tutto il territorio della antica Baronia di Vico.
In questa istituzione scolastica egli stesso fu docente di materie letterarie, essendosi laureato in Lettere Moderne presso l'Università Federico II di Napoli. Va senza dire che in tale sua attività diede prova di grande cultura, di raffinatezza di eloquio e di forte capacità di trasmettere nei suoi allievi, con risultati altamente positivi, formazione umana e cultura letteraria. Mazzeo poeta, già prima di abbandonarsi nell'affollato agone delle Muse, stabilisce poco più che ragazzo un connubio artistico con un poeta dell'Ottocento, pure nativo di Castel Baronia, tutto fondato su condivisi sentimenti delicati e gentili. Il conterraneo è il poeta Carmelo Errico, che il Nostro  stimò ed amò, nonostante la distanza secolare di tempo e di spazio che li divide, al punto che ne assume una difesa vigorosa, quando amaramente si accorge che l'Errico è stato per lunghi periodi dimenticato dai suoi concittadini, dalla gran parte della critica contemporanea e bistrattato dal Croce in un suo caustico giudizio critico. Nel primo caso, in una lirica dal titolo "A Carmelo Errico", si scaglia severamente contro "questa gente / che con cipiglio obietto ti bistratta".Ovviamente la "rude gente" è quella dei conterranei, che, attanagliati, ieri come oggi, da preoccupazioni meramente materiali, da analfabetismo su vasti strati della popolazione, o "al vii guadagno intesa", nessuna grata memoria dimostrò verso chi con passione aveva cantato nei suoi versi il luogo natio nelle circostanze e situazioni più disparate. Questa lirica si chiude con un umile atto quasi di riparazione da parte del Mazzeo contro ogni forma di indifferenza e di oblio: "io ben ti dico e credimi /nessuna rosa o fior / perde l'incanto dì sue eccelse note".
In un'altra poesia dal titolo "Contro un filosofo sbagliato" Mazzeo non risparmia strali infuocati neanche contro il filosofo Benedetto Croce, che aveva definito i versi errichiani "scialbe composizioncelle tutte frasi e immagini logore e generiche" sottolineando che il Croce "con brutalità truce / ha tradito la grandezza/dell 'ibleo Carmelo Errico /forse più alto di luì".
Di contro alla limitata produzione poetica di C. Errico, di cui ci sono pervenuti tré volumi: "Versi", -'Malinconie" e "Convolvoli", una limitazione imputabile dalla morte prematura del poeta avvenuta in Roma all'età di 44 anni, il Mazzeo nella geografìa del mondo poetico è come un fiume in piena. Di lui infatti si conoscono le seguenti raccolte di liriche, senza contare le poesie inedite, che di certo, come risulta dai cataloghi della Biblioteca Comunale P.S.Mancini di Castel Baronia, sono numerose ed attendono una sistemazione editoriale e tematica: "Riverberi" (1973), "Faville Interiori" e "Armonie" (1974), "Trionfo della Fede" (1998), "Sole", "O Rosa" e "Poeta" (1999), "Divina poesia" (2000), "La madre è amore" (2000), "Rami in fiore" (2000) e infine "Poesie Sidernesi" (2005). Le liriche contenute nelle citate pubblicazioni sono complessivamente 674.

Una sì gigantesca mole di composizioni non poteva sfuggire all'attenzione della critica e di non pochi lettori fuori dell'ambito campanilistico. Numerosi allori e riconoscimenti significativi furono perciò conseguiti dal Nostro in concorsi nazionali ed internazionali. Ed ecco i principali premi di poesia vinti in essi: "Nave Raffaello" nel 1971, premio "Aspromonte 1972", premio internazionale di poesia "Ungaretti" consegnato in Campidoglio a Roma tra i tanti concorrenti e, con la stessa motivazione e modalità di consegna, vinse il secondo premio "Ungaretti" nel 1973, premio "Edgardo Poggipollini" di Ferrara e inoltre "Gran Premio Italia 1973" e premio "Sorrento" 1973. Ed ancora altre onorificenze: nomina di "Accademico dei 500", Accademico intenazionale "Burckhardt", "Membro dell'Unione mondiale di Cultura", Concorso internazionale "Città di Cassino" del 1974, "Gran premio Italia 1974" di Sorrento per il testo "Faville interiori".
Numerose sono state pure le recensioni giornalistiche in molte parti d'Italia. Il 2 giugno 2000 fu insignito della onorificenza di Ufficiale dal Presidente della Repubblica Ciampi. A questo punto è di obbligo chiedersi: ma chi è Antonio Mazzeo poeta? La risposta più calzante l'ha data il critico Pasquale Palma nella sua prefazione ai "Riverberi", definendo Mazzeo "Poeta schietto e vigoroso, che possiede una disposizione naturale alla poesia, una tendenza congenita a cogliere le vibrazioni del mondo inferiore e della realtà che lo circonda". Per queste sue innate capacità riesce infatti con facilità a trasferire nel mondo di Euterpe tutto ciò che cade sotto la sua attenta osservazione: ispirazioni sentimentali, fatti occasionali, moti dell'anima profondamente interiori e infiniti altri motivi legati ai ricordi della sua vita. E' diffìcile tuttavia tracciare una linea di sviluppo nella poesia di Mazzeo, perché, salvi pochi casi, mancano una o più linee tematiche costruite intorno ad argomenti e ad ispirazioni specifiche. Bisogna tener presente, a tal riguardo, che il poeta, dotato anche di un'accesa e fervida fantasia, riesce a trovare facilmente intorno a sé e dentro innumerevoli spunti d'ispirazione. Lo colpisce infatti un cielo stellato, le ombre della sera, i monti lontani, un fiore di campo, un bel viso, un paesaggio invernale, una fontana zampillante, la primavera coi suoi molteplici colori, profumi e tanti altri soggetti autunnali o i dolci incanti della notte. Tutto trova una spiegazione, se si pensa che egli, senza soluzione di continuità, vive di poesia e per la poesia.